Aaron Copland, un americano a Parigi

23.05.2013 17:57

 

 

 Nel corso del Novecento probabilmente Aaron Copland è stato il compositore statunitense “classico” più noto tra i suoi compatrioti, ma il suo nome fu anche estremamente popolare in Europa e ben presente nei programmi concertistici del “vecchio” continente, per qualche anno dopo la guerra mondiale. Probabilmente fu anche quello del più noto fra i musicisti classici d’oltre oceano, ma per sostenere ciò è necessario escludere dal novero dei “compositori classici” George Gershwin. Copland, anche lui, non è uno di quei musicisti che si sono realizzati all’interno di un solo stile, come hanno fatto, a esempio, Vivaldi, Chopin, Powell o Tosti, ma è di quelli che hanno cambiato, come Rossini, Stravinsky, Ives, Tatum, Varèse. Egli, che era nato a Brooklin il 14 novembre del 1900, nel ’28 era un musicista se non d’avanguardia, di punta sì, e coraggioso e rude, capace di dare vita alle austere Piano Variations, del ’30, ancor oggi impressionanti e affatto classiche, seguite di lì a poco dalla Short Symphony, un’altra composizione tutta pensiero ed essenzialità, per dirottare poi, con assoluta nonchalance, su El Salón México e quel che seguirà, per lo più contrassegnato da una grande accessibilità e immediatezza di comunicazione.
Se l’evoluzione chiede di essere compresa, non necessariamente giustificata, direi che la sua ragion pratica vada cercata nella crisi di Wall Street. La stagione precedente quella crisi finanziario-isterica, per Copland era stata caratterizzata, a prescindere da quel che veniva componendo, da un’iniziativa di qualità culturale qualificante che s’identifica con gli 8 concerti organizzati a New York, tra il ’28 e il ’31, da lui assieme a Roger Sessions. Questi, di 4 anni più anziano, aveva studiato ad Harvard, con Edward B. Hill, e in seguito a Yale, con Horatio Parker, dove si era diplomato nel 1917. Subito dopo ebbe un insegnamento a Northampton, nel Massachusetts, ma continuò a studiare sotto la guida dello svizzero Ernst Bloch che insegnava composizione in una scuola di New York, la David Mannes. A questo punto non risulta che i due si conoscessero, ma durante gli anni Venti più o meno allo stesso tempo sentirono il richiamo dell’Europa. Appartengono a una generazione che ancora dà valore più alto alla cultura europea che non a quella statunitense o, in generale, americana. Ciò quasi impone loro di venire nel Vecchio Continente per rifinire i propri studi artistici.  A Parigi Aaron Copland “inaugurò” la scuola per studenti d’oltre oceano di Nadia Boulanger, cioè fu il primo studente dei molti musicisti di rilievo ch’ella avrebbe aiutato in seguito a trovare la propria strada, evitando di indicarne loro una quale privilegiata. Quanto a scuola musicale, non è che Parigi potesse vantare all’inizio del Novecento grandi meriti. Il Conservatoire era per così dire una scuola funzionale all’Opéra, teatro all’epoca in piena decadenza, conservatore di un genere che in Francia non stava producendo più nulla se non conservazione. L’altra scuola parigina, la Schola Cantorum, nata come centro di studi sul gregoriano, stava diventando una innovativa scuola di composizione per le idee avanzate di Vincent d’Indy, già autodidatta, evolutosi sotto la guida di César Franck, convinto wagneriano, e in seno alla Société Nationale de musique fino a diventare un’autorità nella vita musicale francese grazie ai corsi di composizione che tenne fino al 1907. Dal 1913 però Nadia Boulanger s’era assunta il compito di seguire i musicisti Usa che venivano a sciacquare i propri panni musicali. Qui venne, come detto, Copland, precedendo Elliott Carter, Gershwin (che ci rimase giusto un momento), Roy Harris, Walter Piston, Virgil Thomson e  Roger Sessions.  Dall’incontro di Copland con Sessions nacque una collaborazione tra i due, nacquero i Copland-Sessions Concerts, la cui programmazione brilla nel cartellone della vita musicale di New York, anche se in tutto non furono che 8, tra il 1928 e il ’31, perché non vi fu suonato mai nulla che potesse essere noleggiato nel magazzino, detto repertorio, di quei prêt-à-porter che con due ritocchi sono belli e pronti per una bacchetta o per l’altra, ma solo musica del momento e soprattutto di compositori giovanissimi. Delle 47 musiche nuove che vi vennero eseguite, 18 erano di compositori non statunitensi. Tra questi ci fu anche Nino Rota; altri nomi, lasciando perdere la provenienza, sono quelli di Carlos Chávez, di Walter Piston, Virgil Thomson, Roy Harris, tutti giunti in seguito a un buon livello di riconoscimento, o di Bernard Wagenaar, un olandese oggi dimenticato, ma che ebbe un momento di gloria quando Toscanini gli diresse la Seconda Sinfonia, nel 1932, con la Sinfonica di New York. Questi concerti nati dalla collaborazione tra Copland e Sessions non potevano certo dirsi un’iniziativa popolare, né ambivano ad esserlo, ma godevano dell’attenzione dei musicisti colti di New York e dei più giovani, per i quali potevano anche essere una piccola vetrina da offrire all’attenzione del pubblico più addentro e più curioso delle novità musicali. Però successivamente venne interrotta la loro programmazione.
Perché sia stata interrotta la programmazione dei Copland-Sessions Concerts non è del tutto chiaro. È evidente che fu importante la partenza di Sessions dagli Usa, quand’egli nel 1931 decise di tornare in Europa, ma è probabile che più in profondità agissero gli effetti della crisi di Wall Street e della Depressione. Di fronte ai grandi problemi della massa dei cittadini, non pochi artisti Usa ebbero una reazione che li spinse a intervenire, prima discutendo e poi facendo quel che pensarono fosse giusto, cioè civile. Copland lavorò con Blitzstein, con Antheil, con Thomson al fine di rivedere i propri criteri di composizione, assieme agli altri rinunciando ai principi individualistici che spesso sono assunti come indispensabili alla creatività nelle belle arti. Diciamo che non giunge a scrivere musica per il popolo, ma, lasciatasi alle spalle la solenne austerità delle Piano Variations (1930), si avvia per la strada che gli assicurerà un costante successo, quella che da El Salón México conduce a Rodeo, a Biily the Kid, ad Appalachian Spring, dunque alle musiche per le quali egli è universalmente conosciuto. In questo indirizzo di musica che vuole essere immediatamente comprensibile a tutti va considerato anche il suo unico lavoro teatrale che non sia un balletto, The Tender Land (1954), un’opera folk, diciamo, che non ebbe che un limitato successo. A prescindere dalla popolarità, il che è sempre necessario quando ci si occupi di musica d’arte, le opere più affascinanti di Copland appartengono agli anni precedenti la Grande crisi. Non si tratta di una cospicua quantità di musica, ma tra le prime sue opere c’è la Symphony for Organ and Orchestra, la cui prima risale al 1925, con Nadia Boulanger (ch’era stata, ricordiamo, sua insegnante) allo strumento solista e la direzione orchestrale di Walter Damrosch, il quale di lì a poco, nel ’27, contribuirà a far nascere la New York Philharmonic, mettendo insieme le forze della Damrosch’s Symphony e della Philharmonic Society. Al termine dell’esecuzione della sinfonia con l’organo, il direttore si rivolse al pubblico dicendo: «If a young man of twenty-three years can write a symphony like that, in five years he will be ready to commit murder» (Se un ventitreenne può scrivere una tale sinfonia, in cinque anni sarà in grado di commettere un omicidio). Il commento di Copland verrà più tardi, con il proprio compiacimento perché la potenzialità non ebbe a realizzarsi. Del primo periodo, oltre a una Passacaglia e allo Scherzo humoristique, sono da ricordare un Concerto per pianoforte, una Sentimental Melody e i quattro blues per pianoforte, tutto del 1926. Altra sua musica di quegli anni rivela il suo interesse per il jazz. Si tratta di Music for the Theatre, una suite in 5 movimenti, di gusto molto francese, che piacque al direttore Serge Koussevitsky al punto che, dopo averne dato l’esecuzione pubblica, chiese a Copland un’altra opera; il compositore rispose con il Concerto for Piano and Orchestra. Terminati gli anni della crisi e digerito il successo dei suoi balletti e delle sue musiche popolari della seconda metà degli anni Trenta (e successivi), Copland si ricorderà d’essere un compositore di musica classica e dopo la guerra mondiale riprenderà a scrivere musica di quel tipo che era amata dai frequentatori dei concerti, molta musica da camera, anche ben fatta, ma tutto sommato di contorno alla vita.
Nel 1947 gli venne commissionato un Concerto da un'autentica star, ovvero da quel sovrano indiscusso della swing craze anni Trenta che fu Benny Goodman: CONCERTO PER CLARINETTO E ORCHESTRA. Il genio di Copland lo portò, nella composizione di questo concerto, ad un'astuto stratagemma, probabilmente: spogliare l'orchestra dei fiati, contrapponendola al clarinetto in modo netto; escludere le percussioni per emancipare il risultato d'insieme dagli stilemi jazzistici propri di un certo modo di intendere la musica nell'America post bellica; suggerire comunque un colore swing grazie agli interventi del pianoforte e di un'arpa pizzicata in modo schietto, e applicando ai contrabbassi un pizzicato marcato. Il prodotto finale non e` jazz, ma al jazz si accosta, non e` musica classica (almeno non nel senso strettamente europeo del termine), ma entra di diritto nel repertorio di chi fa musica classica. Il Concerto fu composto per Goodman, tenendone presenti le possibilita` tecniche e le abitudini stilistiche: prassi tipicamente americana, culminata nell'elaborazione orchestrale di Duke Ellington. L'intero Largo espressivo, che caratterizza l'apertura con linee melodiche sinuose sostenute da accordi d'arpa "alla Debussy", evoca immagini di grande dolcezza e malinconia. Sono circa sei minuti di respiro intenso a cui segue una cadenza in cui il solo clarinetto si mostra piu` vivace e quasi scherzoso. Dopo l'esposizione del primo tema, l'ascoltatore si trova infatti sorpreso dal tipico incalzare "alla Benny Goodman", fatto di giochi dinamici su scale pentatoniche. E` un momento di grande effetto: il timbro nasale alterna staccati e legati stringendo e allargando il tempo con gusto quasi romantico. Si potrebbe, con un certo azzardo, pensare allo Chopin dei notturni da eseguirsi nell'espressione piu` rubata. A seguire, il pianoforte incede con un ripetersi di due accordi dissonanti, apparentemente copiati una trentina d'anni piu` tardi da Andrew Lloyd Webber nella sua Overture per il musical "Cats" (non e` il caso di incolparlo). E` proprio sull'intervento del pianoforte, a cui si aggiungono via via clarinetto, arpa e archi, che avviene un rovesciamento e il vestibolo del Secondo Movimento: indicato dal Compositore come "Rather fast", questo secondo tempo presenta molti retaggi di un certo espressionismo russo che forse potrebbe spiegarsi nelle origini della famiglia di Copland. Tuttavia, l'effetto resta nell'insieme perfettamente coerente, evitando l'eccesso di intrusioni armonico-ritmiche che a cui alluderebbe un pedante calco del Novecento Stravinskyjano: diremo piuttosto che una purezza melodica si trova qui accompagnata da una base piu` vicina al jazz tradizionale, ricca di sincopi e accentuata sul tempo in levare. Superbo e` il gioco di contappunto "frase e risposta" tra archi e solista, con frequenti scambi e riprese in un crecendo che termina con l'ennesima prova di bravura richiesta al primo esecutore.
Aaron Copland, che era nato nel 1900, prima di morire all’età di 90 anni trovò anche il tempo per scrivere alcuni libri sulla musica: uno di essi, Come ascoltare la musica, è in libreria per Garzanti da metà degli anni Cinquanta; esaurito dopo 5 o 6 edizioni nella collana “Sapere tutto”, ne ha avuto un’ultima, in una nuova collana nel 2001, conservando la vecchia traduzione; Music and Imagination, lezioni tenute ad Harvard nel 1951 e ’52, alla fine degli anni Ottanta era alla nona ristampa; Our New Music, del 1941, è ripreso e superato da The New Music 1900/60, Macdonald Londra, che aggiunge allo scritto del ’41 una sezione sulla musica dei tempi (allora) attuali, cioè con la musica degli anni Cinquanta, con osservazioni sulla “music of chance” e sui mezzi dell’elettronica.