Magiche Bacchette

30.05.2012 11:45

 

 

 

 

 

 

 

Attorno all’attività musicale anche “classica” l’interesse del pubblico è cresciuto enormemente e insieme anche gli interessi economici connessi: vendite di dischi, diritti per trasmissioni, per filmati, videocassette, ecc. Le grosse case discografiche hanno le loro “scuderie” di direttori, solisti, orchestre e complessi. Per esempio, in occasione della successione a Herbert von Karajan (ritenuto la migliore “bacchetta”) alla direzione dei “Berliner Philarmoniker” (compongono quella che è ritenuta la migliore orchestra) si fece un gran parlare di pressioni più o meno evidenti delle grandi case discografiche per piazzare in quel posto di assoluto rilievo uno dei loro. Poi successe che i “Berliner” hanno fatto di testa propria, eleggendo a sorpresa Claudio Abbado. Sorpresa per modo di dire perché Abbado è senza ombra di dubbi tra i quattro o cinque migliori direttori d’orchestra del mondo (naturalmente non esiste un criterio attendibile per stabilire il migliore in assoluto). Infatti, senza contare i grandi patriarchi (Giulini, Bernstein, Celibidache) oggi le “bacchette” magiche sono Abbado, Maazel, Mehta, Barenboim. Ma in fin dei conti, il direttore d’orchestra è proprio così importante? Intanto c’è da dire che per secoli le orchestre hanno suonato senza un direttore in senso stretto: cioè senza un musicista addetto non a suonare un preciso strumento, ma solo a coordinare l’esecuzione di tutti gli strumentisti. Solo dalla metà dell’Ottocento cominciò a diffondersi e ad affermarsi la figura del direttore come oggi l’intendiamo, trovando un ruolo definitivo soprattutto con H. Berlioz e R. Wagner. Il fatto è che allora le orchestre andavano arricchendosi di nuovi strumenti e più numerosi strumentisti; inoltre diventava sempre più complessa la scrittura di musica per orchestra (e proprio Berlioz e Wagner diedero un apporto decisivo sotto questo aspetto). Fino allora si conoscevano due tipi di direttori (che in realtà si limitavano a segnare il tempo); o era il primo violino che dava il tempo e gli attacchi con l’archetto o con cenni del capo o battendo il piede; oppure era il suonatore di cembalo (di solito lo stesso compositore) che dirigeva o con gesti del capo o gesti della mano o, anche lui, battendo il piede per terra. Quest’ultima pratica ha dato luogo all’espressione “battere il tempo”, la quale però è legata soprattutto ad un’altra usanza: il tempo era dato da un “battitore di misura”, che con una grossa mazza di legno batteva sul pavimento dei forti colpi, in modo che tutti gli orchestrali li udissero e così seguissero il tempo esatto. Il guaio è che anche gli ascoltatori udivano quelle mazzate, con evidente disturbo nell’ascolto della musica vera e propria. (a tal proposito bisogna ricordare che il grande compositore francese battendo la mazza con particolare foga si pestò un piede e successivamente la piaga andò in cancrena causando la morte del povero musicista).

 

Quando poi si diffuse la figura del direttore in senso moderno, questi continuò naturalmente a battere il tempo, servendosi magari di un rotolo di fogli di musica o di una bacchetta (uso che poi prevalse) per rendere la scansione più chiara e precisa. Questa rimane dunque la funzione basilare del direttore, insieme con quella di dare il segno d’attacco (le entrate) ai vari strumenti (o gruppi), specie dopo che sono rimasti in silenzio nelle battute di pausa. Ma la funzione moderna della figura del direttore d’orchestra, deve anche indicare e uniformare le variazioni di andamento (accelerando o rallentando) e quelle di intensità (piano, forte, crescendo, diminuendo). Deve inoltre amalgamare l’intensità di suono dei vari gruppi o sezioni dell’orchestra (legni, archi, ottoni e percussioni), in modo che non vi siano prevaricazioni di sezioni (un gruppo che emerga troppo, soffocando gli altri); oppure, quando è necessario o opportuno, facendo risaltare uno strumento o un gruppo, tenendo gli altri in sottofondo. Queste scelte del direttore possiamo dire che fanno già parte di un ulteriore suo compito fondamentale: l’interpretazione di cui ne parlerò più avanti. Ora è opportuno ricordare che l’orchestra per procedere compatta, secondo gli intendimenti e le indicazioni del direttore, deve prima aver provato molto. Non per niente un vero grande direttore si dimostra tale soprattutto nelle prove.

Quando la musica da eseguire è particolarmente complessa e poco conosciuta, è spesso necessario che le prove vengano prima fatte a gruppi o sezioni strumentali separati; successivamente un po’ alla volta si prova tutti insieme. Questa è la cosiddetta fase della “Concertazione”, cui provvede un maestro detto appunto concertatore che può essere lo stesso direttore finale, o un suo sostituto. Inoltre, le prove separate sono ancor più necessarie, se l’esecuzione prevede l’intervento di cantanti solisti e del coro: in questo caso questi e quelli (oltre che l’orchestra e le sue varie sezioni) proveranno prima le rispettive parti separatamente.

Ritornando all’essenza interpretativa che emerge dalla lettura della partitura da parte del direttore, possiamo affermare che è il compito che più qualifica la figura del direttore d’orchestra. L’interprete nel significato comune del termine è colui che permette a due persone di lingua diversa di comunicare tra loro. In musica l’interprete si pone tra l’autore del brano, del quale cerca di capire il messaggio (nel nostro caso musicale, cioè in termini di suoni) e l’ascoltatore cui trasmette tale messaggio sonoro, il più fedelmente possibile. Quindi se l’autore crea, l’interprete ri-crea. Un pianista trasmette il messaggio sonoro dell’autore agli ascoltatori direttamente, perché lui stesso suona-esegue. Il direttore d’orchestra invece, ha bisogno di un ulteriore intermediario, appunto l’ORCHESTRA: un insieme di esecutori-interpreti ai quali egli trasmette l’interpretazione che loro devono realizzare. Le cose quindi si complicano; perché funzionino sono necessarie alcune condizioni. Innanzitutto il direttore (primo interprete del messaggio dell’autore del brano) deve capire e cogliere fin nelle sfumature quanto l’autore ha voluto dire. Questo richiede un profondo studio della partitura; la conoscenza della personalità e dell’opera dell’autore, ed insieme anche dell’ambiente musicale e culturale in genere in cui egli è vissuto; e ancora la ricerca di eventuali testimonianze sulle intenzioni dell’autore e lo studio delle interpretazioni che di quella determinata opera già sono state date. In secondo luogo il direttore dev’essere in grado di trasmettere all’orchestra quanto ha capito e vuol far capire agli ascoltatori. Qui intervengono le prove, ed è importante anche la tecnica di direzione (ossia la chiarezza del gesto, le parole, la mimica) e la capacità di dominare, quasi di suggestionare gli esecutori.

Infine, a livello esecutivo, l’interpretazione si concreta nella scelta dell’andamento dei tempi giusti: un andamento troppo veloce o troppo lento cambia il volto di una musica. Inoltre bisogna ricreare il clima d’insieme, le proporzioni tra le parti; dare il giusto rilievo a particolari importanti (frasi, strumenti, solisti, pause…..); dosare le sonorità, scandire i ritmi giusti…..

Insomma ben più di un semplice “battistecca” o segnatempo!