Le Forme orchestrali : EVOLUZIONE DEL CONCERTO SOLISTICO, IL CONCERTO PER CLARINETTO

25.11.2011 12:12

 

Il termine “CONCERTO” dal latino consertus (da conserere, legare insieme) nel sec. XVI designava, generalmente, una composizione per un complesso di strumentisti, uno o alcuni dei quali intervenivano come solisti, mentre tutti gli altri agivano come gruppo collettivo. Esso inizialmente si configurava come una specie di “Concerto Grosso” (forma orchestrale prettamente del periodo barocco basato sull’opposizione del tutti, Concerto Grosso (o ripieno), al “Concertino”, formato da un trio di solisti, generalmente due violini e basso), con la differenza che nel Concerto Solistico veniva contrapposto uno strumento solo (violino, clavicembalo, tromba, etc.) all’intero organico orchestrale. Nel sec. XVII i primi concerti solistici furono composti unicamente per violino,tromba, o oboe, da musicisti come Giuseppe Torelli e Tomaso Albinoni, ma ben presto la varietà degli strumenti solisti crebbe, come testimoniano i numerosi concerti di Antonio Vivaldi. Queste composizioni posero le basi per una forma che sarebbe rimasta immutata fin quasi al novecento: una successione di tre movimenti (veloce-lento-veloce), con il movimento centrale in una tonalità diversa rispetto a quella principale del primo e dell’ultimo movimento. Nei movimenti veloci i passi solistici si ampliavano in lunghe sezioni, spesso dominate da rapide ornamentazioni; a questi episodi si alternavano quattro o cinque sezioni dell’intera orchestra dette ritornelli (il tutto prendeva il nome di “forma ritornello”). Prima del ritornello conclusivo, in almeno uno dei movimenti, il solista sfoggiava la sua abilità tecnica e musicale in un passo improvvisato detto “cadenza”. La cadenza, che fino ad allora era presente solo nelle arie d’opera dei cantanti, fu trasferita nel concerto strumentale e rimase un elemento standard del concerto per tutto il periodo classico e romantico e, successivamente, i compositori le scrissero personalmente anziché affidarle al gusto e all’abilità dell’esecutore. Nel periodo classico, a parte la breve fioritura di una derivazione francese detta “sinfonia concertante”, il concerto grosso si estinse a favore della sinfonia, che aveva assorbito molti dei suoi caratteri. Infatti il concerto solista moderno, racchiude in se alcune caratteristiche del “concerto grosso” e della “sinfonia”:

  • prima dell’entrata del solista, l’orchestra introduce e prepara l’esposizione del solista nel primo movimento, il quale presenta una struttura sonatistica come nella sinfonia;
  • è formato da tre movimenti come il concerto grosso, e non da quattro (Allegro-Adagio-Allegro), viene quindi eliminato il minuetto, che è proprio della sinfonia;
  • presenza della cadenza, che è il momento in cui il solista suona da solo, senza accompagnamento dell’orchestra, dimostrando qualità tecniche, sonore ed espressive sullo strumento (generalmente nel primo o nel terzo movimento).
Il concerto solista, tuttavia, rimase come veicolo di virtuosismo, indispensabile per il compositore-esecutore. Il pianoforte soppiantò il violino come strumento prediletto per il concerto solista: fu lo strumento di elezione sia di Mozart, a cui dedicò i più importanti concerti del tardo XVIII secolo (23 concerti), sia di Beethoven, i cui cinque concerti per pianoforte, portarono questa forma al culmine dello sviluppo. Durante il classicismo (sec. XVIII), infatti, la durata del concerto si allungò ulteriormente in quanto la “forma sonata”, basata su un contrasto di tonalità e di temi, si combinò nel concerto insieme al più vecchio principio del ritornello, specialmente in Mozart, il quale usò impostare la sezione introduttiva orchestrale nella tonalità fondamentale senza necessariamente esporre tutto il materiale tematico, modulando in una tonalità secondaria dopo l’entrata del solista. In tutti i concerti, dai tempi di Mozart in poi, all’orchestra fu data generalmente importanza pari a quella del solista, in modo che i due elementi si integrassero a vicenda.
 
 

Possiamo affermare che il concerto per clarinetto è nato nel periodo di Mozart, poiché è in questo periodo che lo strumento nasce (1690) e inizia la sua fase di sviluppo, inoltre il compositore salisburghese già nei primi viaggi che intraprese fece la conoscenza di Carl Friedrich Abel, suonatore di viola da gamba e compositore, che componeva nello stile della scuola di Mannheim (movimento sorto a opera di un gruppo di musicisti tedesco-boemi che, sotto la guida del celebre violinista e direttore d’orchestra J. Stamitz, rinnovarono efficacemente il sinfonismo europeo sotto il profilo formale). Quindi Mozart dalle sinfonie di Abel apprese la tecnica del clarinetto, strumento allora ancora poco usato in orchestra poiché non ancora del tutto sviluppato. Quando più tardi (1777) il clarinetto aveva già compiuto metà del suo sviluppo, venne introdotto definitivamente nell’orchestra di Mannheim, come strumento omogeneo al gruppo dei legni e soprattutto per la sua capacità di amalgamarsi con gli altri strumenti (sia per intensificare il suono, sia per conferire ai singoli timbri una particolare brunitura). Mozart quando ascoltò questo nuovo strumento all’interno dell’orchestra di Mannheim rimase colpito dalla bellezza del suo dolce suono e soprattutto dalla variabilità del timbro che poteva ottenere diverse sfumature, e rimase ammirato tanto da inserirlo nelle sue ultime sinfonie e da dedicargli un bellissimo concerto (Concerto in la maggiore k. 622), in cui, il compositore riesce a mettere in risalto tutte le qualità e le possibilità tecnico-sonore di questo nobile strumento. Questo concerto, purtroppo, fu il primo e l’ultimo scritto da Mozart poiché fu composto nello stesso anno della sua morte (1791). Dopo Mozart il clarinetto fu sovente utilizzato in orchestra anche da solo, specie dal romanticismo in poi, perché proprio per le sue qualità coloristiche, andava a completare la tavolozza dei colori orchestrali. Basti ricordare le sue sortite nel poetico secondo tempo dell’”Incompiuta” di Schubert, nella drammatica ouverture del “Freischutz” di Weber, il quale dedicò al clarinetto due concerti (n° 1 op. 73 - n° 2 op. 74) e un concertino op. 26 (una composizione simile al concerto ma con la differenza che i tre tempi di cui consta il concerto, nel concertino sono inglobati nell’unico tempo iniziale), nelle opere di Verdi e di Wagner, nelle composizioni sinfoniche di Debussy, Ravel, R. Strauss, Stravinskij, ecc. Altri compositori, oltre a Mozart e Weber, che hanno scritto nella forma del concerto per clarinetto sono L. Spohr, Busoni, Debussy, Milhaud. Dopo il 1820 circa, la produzione dei concerti calò. La tecnica “trascendentale” di Niccolò Paganini, presto emulata dal compositore e pianista ungherese Franz List, contribuì a fondare la mistica del genio virtuoso. Importanti concerti, soprattutto per pianoforte o per violino, furono scritti da Liszt, da Weber, Mendelssohn, Schumann, Brahms, Chopin e Caikovskij. Le loro opere rimangono sostanzialmente fedeli alla tradizione sinfonica: il solista e l’orchestra vengono proposti quasi sempre in un’opposizione drammatica che si riconcilia nella sintesi finale, rispecchiando l’opposizione e le sintesi tonali che stanno alla base della forma-sonata. Anche la forma del concerto per clarinetto dalla seconda metà dell’Ottocento in poi andò via via scemando, soprattutto perché il clarinetto, una volta compiuto il suo sviluppo tecnico, non riuscì a conquistarsi un posto come strumento solista alla stregua del violino e soprattutto del pianoforte (strumenti solisti per eccellenza), venendo utilizzato soprattutto nella musica cameristica a cui, compositori moderni come Stravinskij, Prokofiev, Bernstein hanno dedicato bellissime opere che tutt’oggi sono spesso eseguite. Infine, oggi il clarinetto viene considerato strumento versatile, in quanto può spaziare in tutti i generi musicali, dal classico al jazz, al ragtime, al blues, al Klezmer al contemporaneo, e in questi generi musicali, tale strumento svolge spesso e volentieri un ruolo da autentico solista virtuoso.