La Musica contemporanea in Ungheria

13.04.2012 16:24

                

 

Potentissima ed esemplare la carica della tendenza etnica e nazionale in Ungheria, dove la ricerca del folclore musicale nazionale acquistò ben presto rigore scrupolosamente scientifico, e il suo libero impiego nella creazione artistica non si oppose alla larga e spregiudicata esperienza delle moderne tendenze musicali europee. Fu con i compositori Zoltàn Kodàly (1882 – 1967) e con Béla Bartòk (1881 – 1945), che il così detto nazionalismo musicale visse la sua più bella avventura. Questi due compositori e amici si dedicarono ad una sistematica raccolta, condotta con i più rigorosi criteri scientifici della moderna indagine linguistica, degli autentici canti popolari ungheresi, esplorando a poco a poco anche tutta la zona balcanica. Poterono così pervenire alla scoperta di un’autentica musicalità del popolo magiaro, che ben poco ha da vedere con i ritmi focosi e cavallereschi divulgati e deformati dagli zingari e raccolti da Liszt e da Brahms : si tratta di una tradizione autoctona, vergine di influenze europee, fondata sull’impiego di numerosi modi liberi, diversi dal nostro maggiore e minore, e quindi tale da orientare naturalmente verso le più rivoluzionarie libertà armoniche. Anche il ritmo non conosce le strettoie convenzionali delle nostre consuete battute, ma richiede, l’uso dei più strani valori, come 5/8, 7/8, 9/8, 5/4, ecc. Sono melodie apparentemente povere di colore, più che popolari sono melodie contadine. In un primo tempo Kodàly venne apprezzato come la figura più eminente della rinascita musicale ungherese. Il patrimonio etnofonico dei Balcani nutriva la sua singolare fecondità melodica, ch’egli amava cimentare in imprese di scoperto impegno, come i due Quartetti (1908 e 1917), la Sonata per violoncello solo (1915), il Duo per violino e violoncello (1914) e la Serenata per due violini e viola (1919 – 20). Nelle musiche di scena per lo spettacolo popolaresco “Hàry Jànos” (1926) egli ha probabilmente raggiunto il massimo dell’originalità e dell’efficacia. Nel celebre “Psalmus Hungaricus” (1923) per tenore, coro e orchestra, l’espressione aspira a una purezza lirica superiore sia alla concretezza dei suggerimenti popolari, sia alle malizie del “mestiere” moderno. Comincia a farsi strada una tendenza verso l’eloquenza retorica. Anche qualche fortunato numero sinfonico, come le brillanti “Danze di Galanta”, fa temere un involuzione di Kodàly verso il pittoresco lisztiano, dove il materiale popolare viene messo in mostra nelle sue caratteristiche più vistose, anzichè essere profondamente assimilato nel travaglio di una elaborata creazione. 

 

 

 

Di anno in anno, invece, grandeggia sempre più l’arte di Béla Bartòk, oggi da collocare senz’altro accanto a Stravinskij, a Hindemith, a Schonberg, tra i massimi musicisti moderni. Nessuno come lui ha saputo risolvere il linguaggio etnofonico in un gusto decisamente moderno. L’ispirazione popolare e nazionale fu dapprima per lui, espressione politica di libertà, e sempre egli è rimasto, come uomo e come artista, dalla parte della libertà, dando prova d’una generosa coerenza morale che si riflette nella sua arte, nel suo modo di concepire la musica e il suo insegnamento, a modo d’esaltazione dell’umana dignità. Il nazionalismo artistico non è stato per lui una barriera : Debussy, Ravel, Stravinskij, non gli sono stati avari d’insegnamento; l’espressionismo di Schonberg ha avuto grande importanza nella sua formazione, fornendogli gli elementi di un linguaggio cromatico e d’una dialettica armonica che culminano nella pantomima “Il Mandarino Meraviglioso” (1926), e venendo incontro al suo innato bisogno di serietà, di impegno totale e senza riserve. Ma il linguaggio che Bartòk si è foggiato è ben suo, e non mostra più traccia degli elementi che vi hanno contribuito, siano essi popolari o d’arte. E' un linguaggio rude, opaco , schivo di blandizie e di eleganze : ossessionato dal gusto della ripetizione ostinata, che gli conferisce il suo aspetto tipicamente “barbarico”, dominato da una energia di ritmi e di timbri che tocca la brutalità, e che tende a trasformare ogni strumento, dal pianoforte allo stesso quartetto d’archi, in uno strumento a percussione. Nello stesso tempo si notano nell’arte di Bartòk gli elementi d’una natura visionaria e notturna, portata a scandagliare gli aspetti celati delle cose e la vita segreta delle materia. Il più promettente fra i giovani compositori ungheresi che continuarono la via additata da Bartòk, va ricordato Tibor Harsànyi (1898 – 1954), trapiantato nel clima parigino dopo una formazione centro-europea. Decisamente orientato verso il contrappunto, che egli riesce talvolta a liberare dal peso delle sistematiche cacofonie in scherzi di aerea leggerezza e di abile proprietà strumentale, quasi un Berlioz moderno. Al folclore musicale romeno è interamente ispirata l’abbondante produzione strumentale e vocale di Giorgio Enescu (1881 – 1955) sommo violinista e pertanto incline a una scrittura di virtuosistica bravura.