Il romanticismo di Schumann
Estremo, esasperato e battagliero fu il romanticismo in Schumann, sia nella sua musica che nei suoi scritti musicali della sua attività giornalistica, in cui propugnava un’arte nuova criticando le idee conservatrici della borghesia, definita dal musicista “filistei della musica”. Egli, infatti, aveva immaginato, contro costoro, una “Lega dei fratelli di Davide”, di cui egli stesso costituiva la parte maggiore, con le tre figure nelle quali amava dissociare la sua personalità: Florestano, Eusebio e il Maestro Raro. Caratteristiche dei tre personaggi ideali schumanniani: ardente e focoso il primo, tutto scatti di generoso entusiasmo e di battagliera impazienza; con carattere abbastanza timido e malinconicamente gentile il secondo; con l’insieme dei temperamenti dei due personaggi precedenti e nella raggiunta perfezione della dottrina e della pratica musicale, invece, il Maestro Raro. Queste figure fantastiche, specialmente le prime due, dominano idealmente l’ispirazione di quei brevi pezzi pianistici nei quali Schumann ha dato il meglio di sé, come nei Lieder (1836), realizzando compiutamente il nuovo ideale romantico della forma, tale che si modellasse perfettamente all’intuizione fantastica, lasciandole la più totale libertà. Simile immediatezza espressiva si ammira nei 18 pezzi dei “Davidsbundler” (1837), e nelle suites pianistiche giovanili, come “Carnaval” (1834-35), “Kreisleriana” (1838), Phantasiestuck op. 12 (1837); in essi, egli vi riversa amori, amicizie, sogni di gioventù, entusiasmi studenteschi, piccole malinconie, piccole malinconie, trattati con quell’umorismo sentimentale che Schumann ammirava nel suo prediletto poeta Jean Paul, e resi musicalmente con una duttilità straordinaria (vivacissima disposizione dei ritmi, dell’armonia e della linea melodica), volta a piegarsi secondo le mutevoli esigenze espressive in spunti, accenni e accenti fuggitivi, mai appesantiti da elaborazioni costruttive. Unico elemento di fondo è il succedersi capriccioso di stati d’animo più disparati di un’organica personalità, come un gioco di nubi in un cielo primaverile.
La forma classica, se pur laboriosamente e ostinatamente tentata da Schumann, specialmente negli anni della maturità, non gli fu generalmente così propizia. Nonostante la grande bellezza di musiche come: la Sonata per pianoforte op. 11 in fa# minore (1834-35), il Quartetto op. 41 n. 3, il Quartetto con pianoforte op. 47, le sonate per violino, i Trii e il Concerto per pianoforte op. 54 in la minore (1841-45), dimostrano quanto poco si confacessero gli schemi formali classici all’ispirazione di Schumann. Quindi la sua invenzione musicale vuol essere tutta poesia, ad esclusione di ogni retorica. Per questo motivo, lo sviluppo d’idee musicali non era la forma adatta all’ispirazione di Schumann: l’estrema mobilità sentimentale dell’animo romantico esigeva l’immediatezza espressiva di brevi, fulminee notazioni, abbastanza duttili per seguire il più cangiante chiaroscuro psicologico.
Il problema che sta al cuore dell’arte di Schumann è quello del rapporto tra lo spirito soggettivo, e la natura, esteriore, tra l’io e il tutto, tra il finito e l’infinito: il desiderio di far coincidere nell’espressione artistica la limitazione dell’io con la totalità dell’universo. Ma questa angoscia di romantica aspirazione all’infinito irraggiungibile del Tutto, che costituisce la chiave del mondo spirituale di Schumann, egli non riesce a superarla e inquadrarla nell’organismo di un superiore sistema morale e d’un più grande problema. Il vago e l’indefinito della sua arte è un mondo che non è, come il mondo organizzato dei classici, secondo il gesto armonioso della sonata, andata e ritorno, partenza, traiettoria ed arrivo, ma una sola traiettoria infinita, che non ha in nessun luogo la sua conclusione. Perciò l’arte di Schumann, spesso di origine letteraria o psicologica, conduce per la prima volta a una sorta d’impressionismo musicale. Quindi un’arte nuova s’afferma con l’operato di Schumann, sotto il segno della differenza, del mutamento. L’infinito, quindi, non sarà più inteso come la riduzione di tutte le ore, di tutti gli impulsi, a una stessa verità prestabilita che li domina, ma l’estensione del momento fino all’incommensurabile.